Cucina italiana

L’Antico Arco

Per festeggiare il nostro quinto anniversario di fidanzamento, ho deciso di portare Simona in un ristorante davvero speciale, informandomi su l’accademia della cucina e Tripadvisor ho scoperto questo ristorantino nei pressi del Gianicolo, L’Antico Arco in piazzale Aurelio 7.

Il locale è elegantissimo, le pareti sono dipinte di un bianco lucido tendente al beige, con il classico spatolato veneziano. 
E’ illuminato da punti luce che creano giochi di ombre molto affascinanti. C’è una ricerca di sobrietà e minimalismo che si nota anche dai tavoli, distanti tra loro il giusto, ricoperti da belle e semplice tovaglie bianche ed in contrasto con sedie in stoffa scurissima. 



Ogni tanto tra un tavolo e l’altro ci sono delle composizioni di sottili ramoscelli spogli, che formano dei fasci alti un paio di metri che armonizzano il vuoto delle pareti.

Anche le travi del soffitto, ed il soffitto stesso sono di legno ricoperto da stucchi bianchi.

Dietro le cornici imbiancate delle porte rimosse ci sono archi tondeggianti che richiamano atmosfere orientali.


Il cameriere che si occupa del nostro tavolo è davvero molto simpatico e discreto allo stesso tempo, sa come richiamare il sorriso dei commensali senza essere troppo invadente e sa come descrivere i piatti nei dettagli in maniera professionale. 

Decidiamo di non prendere una bottiglia intera di vino per non dover guidare la moto ubriaco al ritorno, quindi risulta più facile scegliere tra i vini al calice che sono soltanto una ventina. 
Io prendo un Pinot grigio molto delicato e fruttato, Simona un Barbera decisamente più forte e secco, dal gusto intenso che ad un successivo assaggio mi piace decisamente più del mio.

Non faccio guardare il menù a Simona perché voglio che le portate siano una sorpresa. Ho deciso per due menù degustazione che già su internet mi erano sembrati molto interessanti. In questo modo riusciremo ad assaggiare più portate e valutare meglio l’abilità del cuoco.



Ci viene servito un cestino di pane fatto in casa, con diversi tipi di pane, grissini stesi a mano, fagottini alle cipolle e con battuto di olive nere, panini dolci ricoperti di semi di sesamo, panini pizza e minuscole rosettine. Li proviamo tutti e sono deliziosi ma il mio preferito è quello alla cipolla che mi ricorda tanto la pizza ripiena di cipolle che da tempo romani non cucino più.


Prima di cominciare ci offrono come entree un cous cous condito con erbe aromatiche, si sente il basilico, il prezzemolo, forse c’è del sedano e secondo Simona la menta. E’ molto fresco e gustoso e trovo possa essere una buona idea come antipasto quando invitiamo gli amici a casa.

Sgranocchiamo gli ottimi grissini in attesa di cominciare a fare sul serio.



La prima portata che ci servono è la coscia d’anatra a cottura lenta in salsa tonnata al frutto della passione, l’aspetto è ottimo e pure il sapore non delude. Il frutto della passione si sente poco perché la salsa tonnata lo copre decisamente, riesce forse a dare un leggero retrogusto. 
La carne d’anatra nel punto della coscia è buona e molto magra, perfetta per queste preparazioni. La porzione è decisamente piccola, da degustazione, mi viene il dubbio che ci alzeremo da tavola affamati.



La tartare di Ricciola con lime e zenzero, ha un sapore strepitoso, migliore di qualsiasi tartare che abbia mai mangiato, decisamente fresca e gustosa e per niente infastidita dai fili di taccole che la ricoprono, anche la decorazione è lodevole. 

Dopo questa tartare credo sia difficile lasciarsi stupire nel gusto da altre portate.



In grossi piatti riempiti solo al centro ci servono una zuppa di piselli freschi con calamari scottati, e briciole croccanti di pane. I piselli freschi hanno sempre un loro perché. La parte verde del piatto è ottima, ci sono piselli interi amalgamati negli altri ridotti in crema, il calamaro adagiato sulla densa crema, si sposa perfettamente con il sapore dei piselli. 
Anche il pane scottato dona un tocco in più di croccantezza al piatto rendendolo meno morbido. 
In questo posto sanno bene cosa vuol dire cucinare e sembra che non perdano un colpo con nessun piatto.

Mentre attendiamo la carbonara al tartufo nero con rigatoni di Gerardo di Nola, osserviamo gli altri tavoli, gli splendidi filetti che stanno servendo al tavolo di fianco al nostro ed una pratica poco ortodossa. Ad ogni commensale di quel tavolo, oltre al piatto ordinato, servono sempre un assaggio in un piccolo piattino delle portate ordinate dagli altri commensali. 
Una carineria davvero apprezzabile che permette di assaggiare le altre portate senza infilare la propria forchetta nei piatti degli altri commensali.



Finalmente arriva la nostra carbonara, è una rivisitazione molto ben riuscita del piatto classico laziale. Quasi non ci si accorge della presenza dell’uovo che viene coperto dalla delicata crema che forma insieme al formaggio. Il guanciale è molto magro e croccante, non sembra nemmeno soffritto nell’olio e le scaglie di tartufo nero regalano al piatto un sapore unico. Certo se nel piatto ci fosse stato qualche rigatone di Gerardo in più, l’avremmo apprezzato maggiormente. Così non si fa in tempo ad abituarsi al gusto che già è finito, come amo dire in queste occasioni, ci si sporca appena il dente.



Il secondo è di quelli particolari, petto di piccione scottato con more, vaniglia e patate tiepide al lime. Devono avere una piantagione di lime, perché lo infilano dappertutto con ottimi risultati.

Simona non mi sembra entusiasmata dal gusto del petto di piccione che ritiene un po’ troppo forte. Io lo trovo buono, con una cottura perfetta che interessa soprattutto la parte esterna, all’interno infatti resta tenero e succoso. 
Sul petto c’è una riduzione di aceto al lampone dolciastra, perfetta per spezzare il gusto intenso della carne  piccione. Anche le due gocce di patate al lime sono buone e di sicuro accompagnano bene le carni forti.



Prima che ci portino via il cestino del pane finiamo di assaggiare tutti gli altri tipi di pane rimasto, molto buono quello alle olive e quello simile alla pizza. 
Un po’ ci serve anche per saziarci, visto che le porzioni da degustazione sono poco adatte alla nostra voracità.

Come previsto ci portano via il pane e le eleganti posate, che rigorosamente vengono cambiate ad ogni portata.

Il vino è finito ma meglio non prenderne altro, siamo in moto e con questi assurdi controlli stradali mi passa sempre la voglia di bere. Più che i test alcolemici dovrebbero consultare lo storico degli incidenti di ogni individuo per capire se è in grado di guidare o meno principalmente il proprio cervello e poi un mezzo a motore.



C’è un ultima portata prima del dolce, ci viene servita con un cucchiaino, la chiamano Chips di patate e taleggio. Si presenta come un cubo di taleggio fresco con una composta di pomodoro e due patatine fritte simili a quelle che si comprano in busta ma fatte in casa. Dicendo due, intendo proprio due di numero. 
Il formaggio è ottimo e si sposa bene con la composta di pomodoro e con le patatine croccanti della casa. 
Nemmeno questo piatto più semplice delude, gioca con l’equilibrio di sapori delicati e contrastanti e la consistenza delle patatine che gli donano più spessore masticativo.


Manca solo il dolce che dobbiamo scegliere dal menù, io decido di prendere un tortino al cioccolato con gelato al rhum, Simona il tiramisù espresso. 
Cerco invano degli amari senza trovarne, ci sono rhum invecchiati, whiskey di spessore, vini da dolci, acquaviti ed affini ma nessun amaro. Un liquore troppo poco raffinato per un ristorante di questo livello che però avrei gradito, specialmente un Averna o un Amaro del Capo.



Nell’attesa ci servono un pre-dessert, una crema di ricotta con praline di cereali ricoperte di cioccolato, molto delicata e saporita, mi ricorda i cannoli siciliani.

Alla fine arrivano i dolci. Questa volta le porzioni sono quelle normali di qualsiasi ristorante, Simona ha una bella fetta di tiramisù preparato espresso, un po’ giallino nell’aspetto. Nel mio piatto c’è una simpatica composizione con il tortino a cioccolato e dei petali disegnati con due creme, una nera al cioccolato e l’altra rossa alla frutta. Di fianco al tortino c’è una ciotolina contenente gelato alla crema con aggiunta di rhum.



Il tortino è buono, dal liquidissimo cuore tenero di cioccolato che si spande sul piatto appena ne rompo un lato. Anche il gelato non è male ed è un piacere gustarli insieme.



Il tiramisù è più anonimo, non posso dire che non mi piaccia ma nemmeno che mi entusiasmi, di solido c’è poco, si tratta per di più di crema e non c’è traccia di scaglie di cioccolato che avrebbero donato più solidità al tatto e quel tocco dolce del cioccolato che si scioglie in bocca.

Mi sarei aspettato di più dal dolce in questo ristorante che è riuscito a mantenere uno standard elevato durante tutta la cena.

Il prezzo non è economico, 167€ in due ma sono preparato. Sapevo che i menu degustazione costavano 75€ a persona escluso bevande e che più o meno sarei arrivato a questa cifra. Di sicuro non posso permettermi ristoranti simili in normali situazioni ma come regalo di anniversario si può anche eccedere.

Di sicuro è stato tra i migliori ristoranti che abbia provato a Roma per la qualità dei cibi, per la presentazione e per l’atmosfera che si vive nel locale.

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