cucina etnicacucina giapponese

Al Kaiten di Sushisen

Questa recensione è soltanto un integrazione a quella precedente, dato che di sushi avevamo provato poco e niente, non abbiamo resistito alla tentazione di tornare in questo ristorante favoloso.
Se vi interessa una breve descrizione del locale leggete : Da Sushisen finalmente ma adesso andiamo al sodo.
Ci siamo seduti al kaiten, il nastro trasportatore sul quale i due cuochi addetti nelle postazioni agli estremi della sala poggiano i piattini che fanno il giro del locale fino a quando qualche cliente non li prende e se li mette davanti.
Il cameriere è subito venuto a chiederci cosa volevamo bere, così ho preso una birra piccola, qui rigorosamente giapponese ed una bottiglia d’acqua.
Non sapevamo da dove cominciare, tutto quel sushi così bello da vedere ci girava davanti agli occhi per poi fuggire via, così per cominciare Simona ha afferrato questo piatto di sushi fuori dal comune.
Una specie di grande maki ma non avvolto nell’alga nori, ma in sottili fettine di salmone, con il riso all’interno, una crema arancione sopra e della granella di tempura. Non saprei descrivervi la soddisfazione che si prova nel mangiarlo, dovreste provarlo, è morbido e saporito, con un cuore piccante e la granella che lo rende anche croccante.
Per accompagnarlo abbiamo scelto la solita insalatina di alghe che non si è rivelata tanto solita, questa di sushishen è un misto di alghe, di cui alcune croccantine che si infilano un amore nei denti ma lasciano in bocca un gran sapore.
In seguito la nostra attenzione è stata rivolta ad un involtino speciale, fatto di tre diversi tipi di pesce, il primo con una panatura più densa e scura, forse la stessa del tonkatsu, gli altri con una panatura classica, Davvero buono e gustoso, specialmente se inzuppato in quella specie di salsina marroncina che non avevo mai provato prima. 
La mia scelta è caduta poi su una specie di sandwich fritto, fatto di zucchine e forse salmone, davvero saporito ed insolito come piatto. poi prima di ripassare al sughi ho preso dello zenzero dall’apposito contenitore posto lungo il bancone, che mi ha sorpeso per l’aroma intenso ed il colore rosato.
Il pranzo diventa sempre più interessante man mano che si sceglie un piattino ed è bene tenere a mente il conto totale per non avere sorprese alla fine, perché ogni piattino ha un costo differente  a seconda della particolarità del piatto. 
Gli hosomaki con il salmone sono fantastici ma non riescono ad eguagliare il primo dei piatti scelti, che infatti era poggiato in un piattino più costoso.
Il piattino più costoso che abbiamo scelto è questo del sashimi, le fette non sono piccole ed invisibili ma hanno uno spessore degno di nota ed anche il gusto ne guadagna, quando infilate nella bocca un pezzo così spesso di pesce crudo, dopo averlo immerso nella salsa di soia, nella vostra bocca c’è un esplosione di sapore che scema lentamente fino a lasciarvi quasi commossi. Questa è forse l’essenza della cucina giapponese, semplicità, ingredienti base e nessun condimento se non un po’ di salsa di soia.
Per un italiano abituato a piatti elaborati e sapori più decisi ci vuole un po’ ad abituarsi al sashimi ma quando ci si riesce poi è difficile farne a meno.
Una portata così insolita non l’avevo mai mangiata, una fusion di sapori nostrani e giapponesi, un fiore di zucca ripieno di filetto di salmone, fritto e condito con maionese ed un altra salsa scura dal sapore dolciastro, forse una riduzione di aceto balsamico. E’ difficile definire questo piatto, fate prima a provarlo, vi stupira per l’unione dei sapori e per la croccantezza che lo rende speciale.
Simona ha deciso di prendere questo misto di sushi, facendosi catturare dal piccolo corno di salmone flambè ripieno di philadelphia ma in realtà di salmone ne abbiamo già mangiato in quantità per oggi.
Questi due speciali sushi ai casolari, un frutto di mare, li ho presi e gustati da solo, perché Simona è allergica ai frutti di mare e deve stare attenta a non toccarli. Il sapore non è intenso ma delicato e la consistenza molto rigida, tanto che si fa fatica a masticare questo frutto di mare che non è tanto amato nemmeno in italia.
Per concludere il pranzo ho preso un piccolo dolcetto tipico giapponese, un mochi al tè verde con dentro tiramisù, cioccolato e fragola, ho insistitio per farlo provare a Simona che era contrariata per aver provato una volta un mochi cinese che l’aveva sconvolta e stomacata. Quando ha provato questo le si sono illuminati gli occhi ed ha cambiato esprassione tanto che alla fine ne ha mangiato metà. 
Questo mochi così delicato e gustoso è stato perfetto per concludere un pranzo fantastico che non ci è costato nemmeno tanto e che ci ha comunque riempito. 
In due abbiamo pagato, comprese le bibite, poco meno di 60€, una cifra del tutto onesta se paragonata ai ristoranti che ci sono qui a Roma.
Prima di andare via abbiamo conosciuto la mamma del titolare che come lui è simpaticissima e davvero molto gentile e che si è scusata con noi perchè dei giapponesi seduti al nostro fianco facevano rumore nel mangiare le tagliatelle, un usanza tipica in giappone che spesso sconvolge gli italiani così chiusi mentalmente da non capire che esistono usanze diverse in ogni paese e che in un ristorante giapponese è bene rispettare ed accettare le loro usanze.

SUSHISEN
Via Giuseppe Giulietti, 21A
00154 Roma RM

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