Fast Food

Akira Ramen Bar

Non ero ancora sicuro di volervi parlare di questo posto, ma dopo un secondo assaggio ed una conoscenza più approfondita del luogo, ho deciso di raccontarvi questa storia dal risvolto felice.

Intanto posso anticiparvi con certezza che la mia crociata, “alla ricerca del Ramen perduto“, iniziata da quando sono stato per la prima volta in Giappone 4 anni fa, ha trovato finalmente un riscontro positivo e l’ha trovato in Akira Ramen Bar, in via Ostiense 73 a Roma.

Il mio primo incontro con questo locale é avvenuto alcuni mesi fa, con un gruppo di amici appassionati di cucina giapponese e tutti viaggiatori in Giappone, abbiamo deciso di provare questo locale in apertura sulla via Ostiense.
Al primo tentativo siamo stati respinti da un grande caos, i tavoli erano tutti pieni e la gente nonostante avesse finito di mangiare non li abbandonava ma restava seduta a chiacchierare per ore, cosa a cui il Giappone non ci aveva abituato, perché i Ramen-ya (ya sta per negozio, bottega, ristorante ecc) sono di solito un cibo consuma per poi andar via, lasciando il posto agli altri.
Così ci siamo riorganizzati ed abbiamo prenotato per una successiva serata:

Siamo arrivati in anticipo sull’orario ed una cameriera ci ha accompagnato al nostro tavolo in una delle salette laterali a quella principale dove si può osservare dalla parete a vetri i cuochi che nella cucina si muovono rapidamente per preparare le pietanze.

Le pareti sono bianche e gli arredi minimal, le sedie sono quelle di ikea in legno, verniciate di bianco per contrastare le parti in legno grezzo, anche i tavoli sono simili, ricordano molto quelli di un’osteria e rendono il tutto meno formale. Dal soffitto cadono lampadine a led sospese da grosse corde in canapa, uno stile industrial piacevole che va molto di moda.
Con immenso piacere scopriamo che il brodo del Ramen é quello Tonkotsu, cioè di maiale, uno dei più intensi brodi di Ramen per sapore e quantità di grassi ma ci lasciamo tentare dalla versione piccante.
Per antipasto decidiamo invece di provare porzioni di gyoza (i ravioli cinesi nella versione giapponese) e del Karaage (pollo fritto alla giapponese), innaffiando tutto con delle birre giapponesi alla spina. Hanno le Kirin che a mio avviso sono le migliori tra le marche commerciali made in Japan.
Le cameriere sono italiane e sono formalissime, forse anche troppo, avrei preferito un approccio più da osteria e sicuramente avrei preferito che fossero giapponesi e spingessero anche i clienti ad imparare qualche parolina straniera per incuriosirsi di più alla cultura nipponica.
Quando arrivano i gyoza sono meravigliato nello scoprire che sono fritti, io amo quelli grigliati che sono la versione classica. Anche questi sono buoni, ma quando una cosa é fritta quasi sempre ha un buon sapore, motivo per cui in molte culture del sud Italia si frigge tutto.

Il pollo Karaage è delicato, si sente appena l’aglio e la frittura é asciutta, mi ricorda un poi il Giappone ma riuscendo a farne uno molto buono anche da me a casa, non ne sono rimasto molto colpito.

A questo punto tocca al Ramen, una ciotola fumante di brodo con spaghetti quadrati fatti in casa e guarnito con ingredienti a scelta, nel mio caso ho deciso di aggiungere verdure, mais ed uovo sodo, in più alla fettina di arrosto di maiale già presente.
Purtroppo i topping vanno pagati a parte, non é prevista già una versione con tutti i tipi di condimento a prezzi scontanti come capita sempre in Giappone.
Gli spaghetti sono decisamente buoni, hanno tenuto la cottura e sono porosi, si sposano bene con il gusto del brodo denso di maiale, le quantità però sono un po’ limitate, specialmente dalla ciotola usata, troppo stretta e piccola che non rende troppo onore al piatto.
Purtroppo mi rendo conto di aver commesso un gravissimo errore, qui il piccante é davvero piccante, al punto da sovrastare tutto il resto dei sapori fino ad annullarli quasi del tutto. Però nonostante questo, c’é un certo retrogusto intenso che mi ricorda i Ramen giapponesi e che mi lascia ben sperare.
Finisco presto i miei spaghetti e ne chiedo una porzione aggiuntiva, grazie al cielo hanno inserito questa usanza giapponese di poter chiedere un aggiunta di spaghetti al brodo rimasto nella ciotola, si chiama Kaedama e costa 3€. Se volete fare bella figura potete pronunciare “kaedama onegaishimasu” la u finale é muta in quasi tutto il Giappone, quindi omettetela dalla pronuncia.
Quando ho finito il Ramen ho ancora un po’ di fame ma é normale per me non raggiungere mai la sazietà, così decido insieme ai miei compagni di prendere un dolce.

 

Hanno dei Mochi ice, dolci di riso pressati e ripieni, che in questo caso sono serviti ghiacciati, sono davvero ottimi, niente a che vedere con quelle schifezze che vi propinano nei finti ristoranti giapponesi della capitale.

Il conto non é proprio economico, qui a Roma la ristorazione costa e nessuno riesce più a proporre cibo veloce ed economico, anche nei posti che fanno cucina fast food come questi.
Quando vado via sono turbato, quel piccante così esagerato non mi ha lasciato capire se finalmente ho trovato un ramen che possa assomigliare a quello originale ma prometto a me stesso di tornare presto per capirlo.

Qualche tempo dopo…

L’occasione arriva qualche mese dopo, i lavori a casa mi hanno tolto il tempo per uscire con gli amici ma finalmente riesco a trovare un minuto per partecipare ad un corso di Ramen presso Akira Ramen Bar.
Il giorno arriva e ritrovo tutti i miei amici presenti, ma questa volta porto con me anche Simona che come me ama i Ramen ma é disperata per non aver mai trovato niente di decente qui a Roma.
Il corso inizia e ci riempiono di chiacchiere e nozioni che già conosco, compreso un corso base su come ordinare il Ramen ed alcuni accenni sulla storia del piatto. Poi ci presentano il proprietario, Akira Yoshida, un ex Calciatore professionista che ci spiega come ha deciso di portare un poi della vera cucina tradizionale giapponese qui in Italia, per contrastare il dilagare della finta cucina giapponese e del solito inflazionato sushi.

Poi ci presenta i cuochi ed estrae a sorte 6 di noi per farli andare in cucina a preparare i Ramen. Quindi con un colpo di fortuna tremendo, in una morra cinese di gruppo, vinco l’ingresso in cucina e mi immergo nella preparazione del mio piatto.
Chiaramente i segreti della preparazione del brodo, le dosi di acqua e farina per la pasta e tante piccole cose ci vengono nascoste ma posso cuocermi i miei spaghetti, scolarli per terra e prepararmi la ciotola di Ramen che poi mi posso portare a tavola.

Con una gran curiosità assaggio quel Ramen preparato con le mie mani, e subito sento un certo sapore di Giappone che mi fa sentire sereno, e mi porta alla mente tanti ricordi di un luogo così lontano che non saprei esprimere, quanto mi manca.
Lo finisco in fretta e poco dopo ci annunciano che dobbiamo lasciare il locale perché l’orario del corso é finito e devono preparare per l’apertura al pubblico, per qualche strano formalismo giapponese non possiamo passare tra i clienti paganti e così decidiamo di salutare, ringraziamo tutti ed andiamo via soddisfatti per aver trovato qualcosa in Italia che per la prima volta può essere chiamato Ramen.

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