Cucina italiana

Eataly, primo contatto

Il mio primo contatto con Eataly non è stato proprio rassicurante. Già dall’esterno questo enorme padiglione di quattro piani con grandi vetrate ed un elegante scritta Eataly mi incuteva una sorta di terrore ma una volta dentro è stato anche peggio.
Ho provato una forte sensazione di ansia e smarrimento nel vedere una tale concentrazione di prodotti alimentari italiani. Non sapevo più dove girarmi e cosa guardare, ogni cosa mi sembrava interessante da comprare ma troppo esosa per una persona comune come me.
C’era una tale scelta di prodotti di qualità che pure scegliere una birra diventava un’impresa epica. Chiaramente non esisteva la possibilità di chiedere aiuto a nessuno ma da soli ci si doveva far incuriosire dal colore di una bottiglia o la forma e pagare in anticipo.
Ad un angolo vendevano prosciutti, ad un altro formaggi, pesce, carni, pizze napoletane e primi con paste di Gragnano, fritture di pesce, piadine rie che impastavano a mano, panifici e per fino un produttore di mozzarella di bufala di Caserta  che la faceva al momento davanti ai clienti.
Il tempio del gusto e dei luoghi comuni in cui avevano concentrato lo scibile dell’alimentazione italiana mi sembrava un posto così ostico da farmi paura.

Presi dalla solita voglia di provare tutto ci siamo lasciati tentare dalla pizzeria napoletana.
Parlavano di vera pizza napoletana ma a produrla erano un organizzato gruppo di operai di fast food, veloci e dall’aspetto professionale che poco avevano del tipico cameriere e pizzaiolo napoletano.
Due pizze e due birre piccole, sono costate la bellezza di 28€ pagate in anticipo.

Gia quando sono arrivate al tavolo il mio occhio critico aveva qualcosa da ridire. La pizza era veramente troppo piccola rispetto al piatto, il cornicione alto ma non gonfio, piuttosto compatto e troppo rugoso, come se l’impasto fosse stato poco lavorato e non avesse raggiunto la giusta elasticità.
Il sapore del pomodoro era buono e la mozzarella non mi dispiaceva ma non riuscivo a scorgere il sapore del parmigiano. La pizza era decisamente troppo fredda e quando ho tagliato la prima fetta, l’ho piegata e portata alla bocca ho avuto subito una seconda conferma. La parte centrale della pizza non si piegava lasciando scivolare il contenuto nel piatto, ma restava rigida come quelle finte pizze dei fast food.
Anche volendo accettare queste differenze dalla classica pizza napoletana, non potevo in alcun modo ignorare il sapore della pasta, aveva un retrogusto troppo simile a quello del pane casereccio e troppo lontano da quello della pizza e mi dava un gran fastidio.
Tutto quello che vogliono far passare come l’eccellenza della pizza napoletana, è in realtà una delle peggiori pizze simil napoletane che abbia provato qui a Roma. Peccato che basterebbe allungarsi fino al centro commerciale Aprilia II per mangiare una pizza veramente molto simile a quella napoletana, pagando in due 10€ inclusa bibita.
Ma il pranzo non è finito con la pizza, dopo aver fatto un altro giro di ricognizione ed aver osservato una mozzarella di bufala campana fatta al momento che al taglio non rilasciava liquidi, abbiamo deciso di provare le carni.
Io ho preso mezza faraona allo spiedo con patate al forno e Simona un crudo di carne di manzo con insalata. Questa volta senza alcuna bibita il costo è stato di 24€, un altro bel salasso.

La faraona era saporita anche se le carni mi sembravano troppo tenere ed arrendevoli per essere allevate a terra ed alimentate con mangimi non omg, d’altronde cosa ci si può aspettare da allevamenti intensivi.

Il crudo di carne era molto buono ma l’insalatina che l’accompagnava decisamente vecchiotta per essere servita a quei prezzi in posto che si erge a tempio del mangiar bene.
Non abbiamo osato provare altro se non un caffè al bar Illy, eravamo troppo pieni e con le tasche troppo vuote per continuare. Ma i bar Illy non erano sottoposti al controllo di qualità che rendeva i caffè tutti uguali? Come mai non mi è sembrato il solito caffè di qualità?

Eataly è senza dubbio una novità interessante a Roma per chi mangia di tutto ed ha soldi a sufficienza per potersi permettere questi prezzi ma non per chi come me adora la cucina in modo viscerale e non si accontenta di imitazioni delocalizzate. Chi adora spostarsi sul territorio, conoscere le persone e la cultura prima di mettersi a tavola e lasciarsi consigliare le specialità del luogo e della stagione, questo posto è soltanto l’ultimo dei centri commerciali figli del più spinto capitalismo.

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