cucina giapponese

Il ramen di Okasan a Roma

Con la nuova moda dei piatti tipici giapponesi, sono sbucati come i funghi i ristoranti di Ramen a Roma, allora abbiamo deciso di provarli tutti per voi.
Questo sarà sicuramente un nuovo episodio di Alla ricerca del ramen perduto.
Da un ex ristorante cinese a cucina giapponese è improvvisamente sbucato un cuoco giapponese di Osaka per ridare vita a questo nuovissimo Okasan, in via Ostia 22, ad Ottaviano, In centro a Roma.
Il locale è bellissimo, legno naturale ovunque, con strutture sospese che si alternano a volte e pareti grigio scuro, l’illuminazione è relegata a lampade sospese, molto eleganti, alternate a lampade ricavate dai copricapo di paglia dei contadini giapponesi.
La luce soffusa si mischia con quella naturale che si insinua dalle larghe vetrate rendendo l’ambiente molto accogliente.
Ogni cosa è curata nei dettagli, dai tavolini quadrati in legno massello ad un bellissimo quadro in legno con luci incassate che ricorda un paesaggio montuoso.
Non trovò un elemento fuori posto, c’è stato di sicuro un ottimo studio del dettaglio che si nota perfino nei bagni, in equilibrio tra il grigio ed il rosso scurissimo per un’insolita eleganza.
Sorpresi da tanta bellezza cominciamo ad immaginare una cucina in linea con tutto il resto ed a pregustare quel ramen di cui tanto si vantano sulle pagine Facebook.
Il personale di sala è educato e molto preciso ma non dice una parola di giapponese, si esprimono tra di loro in una lingua che non conosco e sostituiscono in un buon italiano le r con le l, cosa molto tipica dei cinesi.
C’è anche un italiano vestito alla moda che ritroviamo alla cassa e di cui poco si capisce il ruolo, sembra fuori dal contesto e non indossa come gli altri l’uniforme del locale.
Il menù è molto ampio, tipico da ristorante ed in aggiunta al cartaceo c’è un tablet dove poter ammirare fantastiche foto di piatti elegantemente impiattati.
Prendiamo da bere soltanto una bottiglia di acqua frizzante, poi come sempre ci lasciamo tentare dai Gyoza (ravioli di carne) ed aggiungiamo un tris di melanzane che ci incuriosisce molto in foto.
I quattro Gyoza sono molto piccoli, ma disposti con eleganza intorno ad una ciotolina di salsa, considerate le dimensioni esigue degli stessi, io ne avrei serviti almeno sei a porzione.
Sono molto delicati nel gusto, l’aglio si sente appena e nemmeno la carne è troppo presente, sembrano una versione soft del classico Gyoza.
Le melanzane sono disposte elegantemente in un bel vassoietto dalla forma particolare, tre pezzetti contati infilati su tre stecchini, per provarli dobbiamo dividerceli a morsi.
Uno è un pezzo di melanzana fritto l’altro è cotto con una marinatura che non saprei definire, il terzo pezzo è invece una classica melanzana con miso (Nasu dengaku), anche buona, ma forse avremmo gradito mangiarla piuttosto che assaggiarla.
Ti cambiano sempre il piatto dopo l’antipasto, per mostrarti la costante attenzione dei camerieri che per tutto il tempo non ti tolgono gli occhi di dosso un istante. Mi sento continuamente osservato e studiato, come se stessero cercando di capire anche che cosa sto appuntando sul mio cellulare.
Comunque siamo qui principalmente per provare il ramen, non ci interessa nemmeno ordinare del sushi che molti altri clienti stanno chiedendo, prendiamo quello tonkotsu che è la versione più classica con brodo di maiale, quello più intenso.
Appena me lo servono, l’odore che arriva alle mie narici è quello di un classico brodo di pollo, cosa che mi deprime parecchio.
Assaggio il brodo e lo trovo troppo delicato, anonimo, riesco ad ottenerne uno più saporito con i ramen istantanei surgelati,  evidentemente non c’è una lunga cottura del brodo di maiale che avrebbe dato densità e sapore ad un piatto che dovrebbe essere rude e mai delicato.
Le uova sono buone, anche la fettina di maiale è saporita, peccato che sia troppo sottile, si scompone mentre la alzo con le bacchette. I tagliolini sono sottili e lisci, molto uniformi tra loro per essere fatti in casa, hanno poco sapore.
Si potrebbero aggiungere, del mais, dei germogli o qualche altra verdura come topping ma si limitano all’indispensabile. 
Ci vuole un attimo a finirlo tutto ed a lasciarmi molto affamato, quello che in Giappone è un piatto unico capace di saziarti, qui da noi diventa una sorta di degustazione.
Per chiudere in bellezza, e riempire lo stomaco decidiamo di ordinare il dolce, un millefoglie al tè Matcha accompagnato da marmellata di azuki (Anko).
Il millefoglie con matcha è davvero buono, gli strati sono una specie di crepes, ed il gusto amaro del tè lo rende piacevole. La marmellata è invece troppo dolce, per fortuna contrasta con l’amaro del tè altrimenti non sarebbe stata mangiabile.
Dopo il dolce, ancora un po’ affamati chiediamo il conto, che è di 21€ a testa.
Andiamo via un pochino delusi, un’altra occasione sprecata di portare a Roma il vero ramen Giapponese, ma non ci arrendiamo, ci dovrà essere qualcuno in Italia capace di fare il ramen.

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