Sulla via del ritorno dal weekend a Campobasso per festeggiare i quattro anni di fidanzamento con Simona, abbiamo deciso di regalarci un pranzo in un buon ristorante. Con la guida dell’espresso alla mano abbiamo deciso di prenotare un ristorantino a Fiuggi dove i prezzi non fossero esorbitanti.
La scelta è caduta su “La torre” che si trova sopra Fiuggi proprio nella piazza del teatro.
Abbiamo avvisato che saremmo arrivati verso le 14:15 e con una precisione maniacale dovuta al TomTom che ci indicava la strada siamo arrivati fuori dal ristorante.
Attraversando il gazebo fiorato ci siamo resi conto subito dell’eleganza del luogo, Simona mi ha fatto notare che forse eravamo vestiti in maniera troppo rozza per il posto ma non avevamo alternative.
La proprietaria del ristorante, una ragazza molto elegante e garbata ci ha accolto accompagnandoci in una piccola sala alla fine del corridoio di ingresso e mostrandoci il nostro tavolo.
Il locale si presentava molto sobrio ed austero. Le pareti sono di un giallino delicato, quasi beige e sulle pareti dei quadri moderni dai colori intensi spezzano i toni chiari dando equilibrio. Su di una parete è adagiata una credenza anticata che armonizza l’eleganza con la rusticità delle antiche sale da pranzo. Il sottofondo musicale è piacevole e delicato e non influenza la conversazione.
I tavoli erano apparecchiati in maniera molto elegante, spiccavano molto le posate in argento ed i piatti moderni ed leganti, c’erano i bicchieri da vino ed un cucchiaino posto alla destra del coltello che mi incuriosiva.
L’unica cosa che non mi faceva impazzire erano i bicchieri per l’acqua, gialli, spessi e bassi, somigliavano tanto a dei porta candele.
Il centrotavola, nel nostro caso posto ad un angolo del tavolo era elegante e vivace, aveva sul fondo dei sassolini di vetro immersi nell’acqua ed adagiata sopra i sassi una bella rosa arancio.
Il tovagliolo era arrotolato sul piatto in maniera semplice senza tamarre figure quali cigni o strani animali che spesso sono in bella mostra in alcuni ristoranti.
La proprietaria che si occupava anche di servire ai tavoli, ci ha portato i menù. C’erano nomi orpellati di pietanze che ci creavano curiosità ed i prezzi non sembravano eccessivi, visto il luogo, gli antipasti, i primi ed i secondi si mantenevano tutti su una media dei 14€. Per non esagerare con il conto finale abbiamo deciso di ordinare direttamente i primi saltando gli antipasti, non possiamo permetterci di spendere un patrimonio per mangiare, siamo in una società precaria.
Da bere abbiamo preso solo dell’acqua, con le norme severe ed i controlli per la guida in stato di ebbrezza che ti consentono di guidare se hai bevuto meno di mezzo bicchiere di vino mi è passata la voglia di ordinare del buon vino quando sono a tavola.
Con difficoltà tra tutti quei nomi attraenti abbiamo scelto i primi ed i secondi, io ho ordinato gli “Spaghettoni con polpettine di castrato e zabaione allo zafferano, menta e prezzemolo tritati” e Simona gli “gnocchi di patate e ricotta con ragù di baccalà e pomodorini confit” per secondo, invece, abbiamo scelto un “Trancio di baccalà gratinato su purea di patate e scalogno, pane tostato al sapore di basilico” e gli “Involtini di maialino da latte in crosta di verza ripieni di castagne al vapore”.
Non è passato molto tempo dalla nostra ordinazione che subito la cameriera si è presentata con un vassoio di pani misti e due piccolissimi piattini con dentro una crema di verdure che la casa offriva come benvenuto.
Ho dunque capito a cosa servisse quel cucchiaino posizionato in modo insolito di fianco al coltello.
Era buona ma in un attimo è finita e così non ci è rimasto che assalire il vassoio dei pani.
Ho provato un ottimo fagottino alle noci e mandorle, morbido e saporito con dentro un intero quarto di gheriglio. Era sfizioso ma non bastava per calmare l’appetito così abbiamo attaccato i grissini dalla forma irregolare finendoli, poi finalmente sono arrivati i primi.
Ho subito notato l’eleganza e l’accortezza usata nell’impiattare le pietanze per dare importanza oltre che al gusto anche all’aspetto. Gli gnocchi verdi di Simona erano un cumulo sul fondo di quel grande piatto e non potevano pretendere più scenografia, li ho assaggiati e mi sono sembrati buoni ma non vi ho posto la dovuta attenzione, perché preso dal gusto dei miei spaghettoni.
Nel mio piatto gli spaghetti di sezione quadrata erano avvolti in un turbine concentrico a formare una montagnella nel piatto, si notavano le polpettine incastrate nel vortice e l’uovo leggermente colorato dallo zafferano.
Il sapore era unico, una delizia del palato, quasi mi scocciava finirli per quanto fossero saporiti. Sfilavo piccole forchettate di spaghetti che infilavo in bocca e masticavo lentamente in modo da sentirne tutto il sapore. L’uovo si sentiva appena, come una delicata crema volta più a legare e dare corpo al piatto che a divenire prepotente dominante. Lo zafferano donava il colore e si percepiva come una nota lieve e lontana d’aroma. La cosa più imponente era l’intenso aroma di menta, presente in ogni boccone che dava quel tocco di particolarità al piatto. Le piccole polpettine erano buone ma partecipavano separatamente al piatto rilasciando il loro sapore solo quando venivano morse.
Sono rimasto davvero impressionato da questo piatto al punto da spostare il mio giudizio in positivo ancor prima di continuare con i secondi. Scavando nella memoria mi è difficile trovare dei primi così armoniosi, delicati e saporiti al tempo stesso se non in qualche ricordo di novelle cousine calabra o di perfetti piatti di pesce siculi.
Alla fine dei primi non c’era molto su cui poter fare la scarpetta, i sughi erano così proporzionati da finire insieme con la pasta, tuttavia ho provato a raccogliere qualcosa dal fondo ignorando l’etichetta che non vorrebbe si praticasse questa pratica a me tanto cara.
Dopo aver rimosso i piatti ci sono state cambiate tutte le posate sul tavolo, cosa ripetuta dopo ogni portata, Simona aveva un fantastico coltello affilato somigliante ad una pattada sarda per tagliare la carne. Di sicuro un’idea geniale averne un servizio a casa, per stupire gli ospiti quando si servono delle carni.
I secondi non si sono lasciati attendere più di tanto e nel frattempo ho potuto osservare magnifiche composizioni di dolci attraversare la sala e finire sui tavoli di altri commensali. Alcuni di questi piatti sembravano dei veri e propri quadri, così già cominciavo ad interrogarmi su quale potesse essere la mia scelta.
Nel mio piatto su di un letto di purea giaceva un filetto di baccalà spezzettato,
il gusto del pesce era delicato mentre quello del purè corposo, un piatto equilibrato forse un tantino piccolo per i miei gusti ma mi sarei rifatto con il dolce.
Il maiale di Simona invece era di sicuro più interessante, in un piatto rettangolare c’erano alcuni pezzi di maiale avvolti in verdi foglie di verza ed una piccola tonda parmigianina di melanzane. Il maiale era morbido, per niente grasso, una buona cottura ne aveva preservato l’umidità non seccandolo. Non si sentiva il sapore delle castagne ma c’era un retrogusto che somigliava alla menta.
La parmigiana era compatta e corposa, solidamente fritta e dal gusto intenso, casareccio tipico di questo piatto e Simona me ne ha ceduta mezza.
Prima ancora che la cameriera aprisse bocca per chiederci se volevamo il dolce io e Simona abbiamo intonato all’unisono un si.
Sorridendo ha capito al volo ed è andata a prendere la carta dei dolci.
C’erano troppe cose interessanti, al punto che avremmo voluto provare ogni cosa ma bisognava prendere una decisione. Io ho optato per la “Caramella calda di pasta strudel ripiena di mela, uvetta e pinoli;salsa e gelato allo zabaione e gelè al marsala”, Simona invece si è lasciata tentare da un “Falso tiramisù agli amaretti ciociari con babà al limoncello”.
Insieme ai dolci abbiamo chiesto anche il caffè ed il conto, non ci andava di tornare a Roma troppo tardi ed avevamo paura del traffico di rientro del 1 maggio.
Avevo adocchiato una grappa invecchiata in barrique ma per lo stesso motivo del vino ho preferito desistere ed accontentarmi del caffè.
I dolci avevano un aspetto magnifico e la composizione sembrava studiata appositamente per dare il massimo senso estetico. Con l’apposita forchetta ho sfondato la caramella di pasta lasciando uscire una nuvoletta di vapore, dentro era ancora calda.
Non riuscirei a descrivere quanto era saporita, non era troppo dolce e la sfoglia esterna era croccante, dentro si potevano assaporare ancora caldi pezzi di mele e uvetta. Era perfetta quando la si gustava unita alla crema di zabaione diventando un puro godimento del palato. Il gelato che accompagnava il dolce finiva col passare indifferente in confronto al resto.
Ho lasciato abbastanza in pace il dolce di Simona perché ero tutto preso dal mio, le aveva un babà che non ho nemmeno provato, essendo napoletano ne ho mangiato di tutti i tipi e quindi ho preferito lasciarlo a lei. Il tiramisù invece non mi è piaciuto particolarmente, era troppo pannoso ed io odio le cose pannose, preferisco affondare il cucchiaino in pan di spagna e creme varie. Ho solo preso un paio di quelle deliziose gelatine al caffè che aveva come decorazione nel piatto.
Anche il caffè era buono ed il conto accettabile, 85€ in due, che per un ristorante di questo livello ci sono sembrati un prezzo accettabile. Abbiamo salutato e siamo andati via con la voglia di ritornare a provare qualche altra specialità.
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