Quando ci prende quella mania compusiva da abbuffata di cibo giapponese, non resta che cercare uno di quei ristoranti a buffet dove puoi mangiare a prezzo fisso tutto quello che riesci ad ingurgitare.
Non bastano un paio di portate scelte da un menù alla carta, in questi casi ci vuole proprio un “All you can eat” per soddisfare quell’improvvisa voglia di Giappone.
Una voglia che è figlia di un infanzia deviata dai manga ed i cartoni animati giapponesi e che si alimenta con la lontananza e l’ammirazione per un mondo che ci appare così diverso e lontano, quasi mistico.
Decidiamo di provare un nuovo ristorante giapponese, un certo Hanabi che ci suggerisce da tempo la pubblicità nei monitor della metropolitana.
Hanabi sta proprio nei pressi della fermata metro di Cipro, in via Meloria 13.
A pranzo offre la formula “all you can eat” a 16 euro, la sera a 19, le bevande si pagano a parte.
Appena entrati nel locale, uno sguardo sommario non evidenzia una grande differenza dagli altri ristoranti cino-giapponesi.
Ci sono i soliti tavolini quadrati di legno per due, le tavole di legno dipinte con i colori dell’oro alle pareti e qualche lampadario sospeso. Sul fondo del locale a vista c’è il bancone dove il cuoco del sushi, effettua con maestria il taglio del pesce e prepara le barche di legno pronte a navigare fin sui tavoli dei clienti.
La cameriera ci mostra un tavolo in sala e poi ci chiede se per caso preferiamo le salette sul retro. Diciamo di si, e ci accompagna in un corridoio che parte di lato al bancone del sughi.
Questo stretto corridoio delimita una serie di salette racchiuse tra pareti di legno e carta scorrevoli.
Nelle salette i tavoli sono infilati in uno scavo centrale in modo da non superare troppo in altezza il livello del pavimento che tutto intorno al tavolo forma una specie di panca dove sedersi comodamente.
È complesso scendere nel fosso con le gambe e poi uscirne nuovamente, ma una volta entrati con le gambe nel fosso, si sta veramente comodi.
Chiusi in questi piccole salette sembra di ritrovarsi in un film giapponese, vorrei chiudere le porte scorrevoli per aumentare l’intimità ma Simona ha vergogna e vuole che le lasci aperte per chi sà quale motivo.
Sul tavolo in legno scuro non c’è la tovaglia, soltanto una piccola stuoia in legno con un bicchiere molto elegante, un vassoietto nero e rosso con degli ideogrammi per decorazione, un piccolo contenitore verde smeraldo per contenere la salsa di soia e le bacchette poggiate su un elegante poggia bacchette nero.
Il fatto che manchino le posate mi conforta, in questo ristorante non sarò costretto a chiedere le bacchette ed aspettare che qualcuno si degni a portarmele guardandomi come se fossi un alieno. Le bacchette sono già a tavola e sono la norma.
Che senso avrebbe andare a mangiare cibo giapponese in un ambiente che riproduce quello tipico dei ristoranti giapponesi e non usare le bacchette?
Sarebbe come se in Giappone, ordinando una carbonara, in un ristorante italiano ci venisse servita con le bacchette invece che la forchetta.
Al centro del tavolo la salsa di soia non si trova nella solita bottiglietta di vetro con tappo di plastica rosso della kikkoman ma si trova in un elegante brocchetta nera con il tappo rosso che richiama nei decori e colori il vassoietto ed il portabacchette.
Studiamo attentamente i menù ed ognuno sceglie di ordinare per se.
Quando arriva il cameriere è Simona a cominciare le ordinazioni, pronuncia un numero, poi un’altro, poi un altro ancora e poi una raffica interminabile di numeri. Ad un certo punto sembra l’oratrice delle estrazioni del lotto.
Guardo il cameriere mentre scrive e scorgo sul suo viso la mia stessa identica espressione di stupore ed incredulità.
Quando finalmente tocca a me, cerco di ordinare il minimo possibile, un misto di suschi, un insalatina ed un pò di sashimi ed un piatto di pesce piccante, al resto ci penserò dopo.
Approfitto dell’attesa per andare in bagno, di solito è da li che si evince il livello di pulizia di un locale. Mi stupisce di trovarli ampi puliti e confortevoli, c’è perfino il sapone, l’acqua calda e l’asciugamani elettronico funzionante.
Tornato al tavolo ci portano i Mmini harumaki, gli involtini di gamberi e la salsa agrodolce. Sia la salsa leggermente piccante che gli involtini sono ottimi e mi pento di non averli ordinati anche io. Sono una specie di sigari di sfoglia con ripieno di gamberi dal gusto davvero interessante, è la prima volta che li mangio e tornerei in questo ristorante anche solo per mangiare questi involtini.
Subito dopo ci vengono servite le insalate di alghe, la mia con pesce crudo e quella di Simona con il polipo, sono buone e condite con aceto balsamico.
Ci portano la prima barca di sushi e sashimi e subito dopo arriva la seconda ordinata da Simona, abbiamo davanti a noi un’enorme quantità di nigiri, maki e sashimi e non vediamo l’ora di ingozzarci.
Il pesce è ottimo e pure il riso non è male, il punto di cottura è giusto e la compattezza convincente. Pian piano cominciamo a spazzolare tutto. Quando abbiamo quasi finito arriva la cameriera con due ciotole enormi piene di riso.
Guardo Simona e capisco che aveva ordinato la mia stessa portata. Nessuno di noi aveva capito dal menù che quel piatto di pesce crudo in salsa piccante prevedeva un immensa quantità di riso in bianco.
Comincio a sudare freddo, tutti quei numeri pronunciati da Simona quanti altri piatti a base di riso porteranno sul nostro tavolo? Già riuscire a finire tutto il riso nell’enorme ciotola quadrata mi sembra un impresa titanica.
Simona è disperata quanto me, lo vedo dal suo viso e quel sorriso appena accennato che le serve da difesa per l’errore commesso. Sembra una bambina che sa di aver fatto una cosa sbagliata e con il sorriso tenta di rimediare al guaio appena fatto.
Vorrei dissolvermi e sparire nel nulla ed evitare la figuraccia che si sta prefigurando nella mia mente. Chiedo a Simona che cosa altro ci aspetta e mi risponde che devono ancora arrivare tre futomaki, quei grandi coni di foglia d’alga ripieni di riso e pesce e tanto per non farsi mancare niente due bei giganti onigiri.
Le famosissime polpette di riso di forma triangolare Che mangiano sempre i personaggi dei cartoni animati giapponesi.
Non ho parole per esprimere il mio rammarico, ma solo parolacce, sta arrivando la più grande figuraccia nella storia dei pranzi a buffet.
Già immagino lo sguardo severo del cameriere quando dovremo dirgli, ci dispiace tanto, abbiamo esagerato con gli ordini, anzi è stata Simona ad esagerare.
Butto giù un bel sorso di birra peroni e mi avvicino la ciotola quadrata, spero non sia così profonda come sembra, forse il fondo interno è alto e non c’è poi tanto riso. Infilo le bacchette fino in fondo alla ciotola e rimango in silenzio. Il contenitore è veramente profondo, pieno zeppo di una quantità di riso che da sola basterebbe a saziare qualsiasi comune mortale, dove infilerà tutto quel riso nel mio stomaco che già chiede pietà.
Il pesce crudo è condirò con una Salsa piccantissima simile a quella usata nei cocktail di gamberi. Il sapore è fantastico ed il riso aiuta molto a spegnere le fiamme che ardono nella gola e sulla lingua.
Andando molto piano posso riuscire a finire tutto lo stato superficiale con il pesce e la salsa e lasciare solo la parte di riso completamente bianca sul fondo, sperando che questo non offenda nessuno.
Mentre affronto con estrema difficoltà la ciotola quadra di riso arrivano tre futomaki, i grandi coni di alga nori pieni di riso. Sono enormi, guardo Simona ed intuendo la sua prossima richiesta le dico che non voglio saperne niente.
Le mi guarda con uno sguardo misto di dolcezza e tristezza, pregandomi di mangiarne almeno uno. La insulto un pochino ed afferro un cono, è buono ma sono allo stremo delle forze.
L’unica possibilità è alleggerirlo del carico, infilo le bacchette nel cono e comincio a tirare fuori una parte del riso che aggiungo a quello residuo nella ciotola. Al centro del cono spicca un parallelepipedo rosso di tonno crudo. E’ la prima volta che in un futomaki c’è del vero tonno crudo e non il solito tonno in scatola. Questo si che è un ristorante giapponese.
A Simona tocca fare il miracolo e finire gli altri due coni. Quando ci portano due enormi onigiri, siamo disperati e senza possibità di salvezza, ci guardiamo senza proferire alcuna parola.
D’un tratto arriva l’idea, guardo la borsa di Simona e capisco che si può fare, le dico di ficcarli rapidamente in borsa senza farsi vedere, le i non ci pensa un attimo ed agisce, li avvolge nel tovagliolo di carta rossa e li ficca in borsa.
Siamo salvi. Spero che se un giorno leggeranno questa recensione sul mio blog, non ci odieranno per aver esagerato con le ordinazioni.
Il piattino di sashimi non è difficile da finire, dura veramente un attimo, il pesce crudo è buono e mangiato senza il riso è davvero leggero, potrei mangiarne a quintali. Così una bacchettata a testa lo finiamo tutto in un baleno.
Ci sono ancora gli spiedini misti di pesce e gamberi alla piastra, deliziosi, conditi con un filo di riduzione di aceto balsamico. Ne impongo uno a Simona per vendicarmi del futomaki, gli altri due li spazzolo via io in due secondi provando un estremo piacere.
Non posso finire un pranzo giapponese senza una delle loro fantastiche tempura, le fritture in pastella. Così prima di dedicarci al dolce decido di prendere una tempura di gamberi e verdure.
Chiamo la cameriera che un po’ mi guarda male da sotto il suo miglior sorriso. Le chiedo una tempura e due dolci, un dorayaki per me ed un dolce sconosciuto a base di cocco per Simona. Anche in questo caso si mostra gentilissima, mi dice che porterà prima la tempura e alla fine i dolci in modo che possiamo mangiarli separatamente. Capisco da questo dettaglio che mi sono impressionato, non mi stava affatto guardando male.
Anche la tempura è ottima, le code di gambero sono giganti e la pastella è di quella delicata che solo i giapponesi sanno preparare, convinco Simona a mangiare almeno un gambero, tutto il resto devo finirlo io, le zucchine, la zucca e le melanzane.
Ripulisco tutto immergendolo nella liquido caldo che servono sempre insieme alla tempura.
Sono sazio e non potrei mangiare niente altro che un dorayaki, un dolce che mi affascina fin da quando vedevo Doraemon, il famoso gatto spaziale del cartone animato farne scorpacciate.
E’ un peccato che sia tagliato in quattro parti ed infilzato con uno stuzzicadenti, avrei preferito mangiarlo con le mani, come adoro fare di solito. Riesco a finirmi il dorayaki senza problemi e perfino a provare una cucchiaiata dello strano dolce molle e rosa che a preso Simona.
Il dorayaki non è male, sia la consistenza dell’impasto che crema di fagioli al suo interno sono troppo simili a quelle degli altri ristoranti, mi viene il dubbio che nessuno di questi sia fatto in casa ma comprato come se fosse una merendina dallo stesso fornitore e poi riscaldato al momento al microonde.
Sarò obbligato ad andare in Giappone e provare tutte le loro specialità in originale in modo da avere in futuro un buon metro di paragone.
Paghiamo il conto e con difficoltà mi riesco a tirare fuori dal fosso del salottino, ormai la mia agilità e quella di Simona sono compromesse, tanto che potremmo raggiungere l’auto rotolando.
Salutiamo e ringraziamo cameriere e cuoco ed andiamo via. Tanto non resisteremo a lungo senza tornare a mangiare giapponese e da oggi senza ombra di dubbio, il miglior posto dove poterlo mangiare sarà Hanabi, con il suo menù a buffet conveniente, la qualità di un cibo ben preparato che più si avvicina ai canoni della cucina giapponese, i sallottini riservati e una grande cortesia nel servizio.
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